Viviamo in un’epoca in cui restare “offline” è quasi impensabile. Lo smartphone è diventato una vera e propria estensione della nostra mente: lo usiamo per comunicare, informarci, organizzarci, rilassarci. Ma quanto è davvero “neutrale” questa relazione? E cosa accade nel cervello quando controlliamo compulsivamente il telefono?
Ogni volta che riceviamo una notifica, un like o un messaggio, il nostro cervello attiva il circuito della ricompensa, un sistema neurobiologico che ci spinge a ripetere comportamenti “piacevoli”. Il neurotrasmettitore protagonista di questo processo è la dopamina.
La dopamina non è la “molecola del piacere” in senso stretto, ma è coinvolta nella motivazione e nell’anticipazione della ricompensa. Ecco perché l’uso dello smartphone diventa facilmente ripetitivo e compulsivo: ogni interazione è una potenziale ricompensa incerta, esattamente come accade nel gioco d’azzardo.
Diversi studi hanno collegato l’uso problematico dello smartphone a una disregolazione del sistema dopaminergico, simile a quella che si osserva nelle dipendenze comportamentali (Khazaal & Vera Cruz, 2024).
Ricerca recente ha mostrato che:
Un fattore chiave, soprattutto tra gli adolescenti, è la FOMO (Fear of Missing Out): la paura di essere esclusi da esperienze sociali gratificanti. È un’emozione potente che spinge a controllare costantemente il telefono per “non perdersi nulla”.
Questa ansia sociale è fortemente associata alla dipendenza da smartphone, soprattutto nei giovani, e può peggiorare stati d’animo negativi come ansia, stress e depressione (Elhai et al., 2018).
Uno studio di neuroimaging ha rilevato che livelli elevati di FOMO sono correlati a riduzioni dello spessore corticale nel precuneo, un’area del cervello coinvolta nei processi sociali e nel senso del sé (Wang et al., 2022).
Nei giovani, la FOMO è spesso più intensa per via del bisogno di appartenenza e della costruzione dell’identità. Questo rende gli adolescenti più vulnerabili ai rischi psicologici dell’iperconnessione e alle dinamiche compulsive legate ai social media (Gul et al., 2022).
La tecnologia non è il problema: è il nostro rapporto con essa a determinare se diventerà uno strumento di crescita o un ostacolo al nostro benessere. Comprendere i meccanismi neuropsicologici alla base dell’uso digitale ci rende più liberi di scegliere come, quando e perché restare connessi.
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